UCRAINA, ETIOPIA, MYANMAR……UN COMUNE DENOMINATORE: LA GUERRA!!!

La guerra in Ucraina è a noi vicina e dunque ci coinvolge ancor di più, ma purtroppo la guerra accomuna tanti, troppi paesi, l’elenco sarebbe più lungo ma ci soffermiamo sulle tre realtà in cui le suore di Maria Bambina sono direttamente coinvolte nel conflitto stesso o nelle conseguenze che una guerra comporta.

UCRAINA 

L’invasione russa dell’Ucraina è iniziata alle 4 del mattino del 24 febbraio, ora italiana. L’ «operazione militare speciale» annunciata si è ben presto rivelata un attacco totale.

La Romania è il paese Nato con il più lungo confine con l’Ucraina: 650 km.

I bombardamenti a soli 15 chilometri dal territorio romeno hanno spinto 90.000 profughi ad entrare nel paese (dati aggiornati al 28 febbraio dalla Polizia di Frontiera Rumena).

Come vediamo ogni giorno dalle immagini dei media sono soprattutto donne, bambini e anziani coloro che scappano dai bombardamenti russi, perché agli uomini tra i 18 e i 60 anni, in grado di combattere, non è permesso uscire dal paese.

Migliaia di persone varcano quotidianamente il confine rumeno dove sono i benvenuti. E’ grande e generosa la risposta che la popolazione rumena sta dando all’accoglienza dei profughi. Da semplici cittadini e volontari, ad associazioni locali come la Caritas diocesana e la Croce rossa.

I romeni offrono trasporto gratuito, alloggi nelle pensioni e alberghi.

Anche i monasteri si sono aperti ai rifugiati, l’Università di Iasi (paese dove si trovano le suore di Maria Bambina) sta offrendo, oltre all’alloggio, anche assistenza psicologica, gli studenti delle scuole superiori stanno raccogliendo beni alimentari, vestiti, coperte, giocattoli.

La stessa macchina di solidarietà si è messa in moto a Bucarest, Faraoani e Bacau, tutte le comunità delle nostre suore sono in contatto con la Caritas diocesana, con la quale collaborano e alla quale inviano gli aiuti che stanno ricevendo.

 

ETIOPIA

ll paese del CORNO d’AFRICA è nel vivo di una GUERRA CIVILE fra i ribelli della regione settentrionale del TIGRAY e il governo di ADDIS ABEBA.

Il 4 novembre (2020) l’esercito di Addis Abeba, in risposta all’attacco a un deposito d’armi federale da parte dei ribelli ha sferrato l’offensiva che è diventata detonatore in tutto il Paese. L’operazione per ristabilire l’ordine costituzionale doveva durare un mese! Si combatte ancora oggi.

Il rapporto Onu parla di: “Brutalità estrema da entrambe le parti in conflitto”. Il sogno di riformare il paese del premier Abiy, l’uomo che vinse il Nobel per la pace (2019) mettendo fine alla guerra fredda con l’Eritrea, si è spento nel sangue.

Il governo di Addis Abeba ha isolato completamente la regione del TIGRAY, bloccandone l’accesso a beni commerciali e aiuti umanitari, secondo il report delle Nazioni Unite sono circa 1,9 milioni gli sfollati che scappano in altre regioni del paese, 100mila bambini sono a rischio malnutrizione potenzialmente letale nei prossimi 12 mesi, con focolai di epatite tra i rifugiati.

I riflettori internazionali su questo pezzo d’Africa sono spenti, a parte sporadici reportage. L’Etiopia non intende cedere a pressioni straniere, considerate ingerenze.

Il conflitto etiope non è solo un danno per l’Etiopia, ma per tutto il Corno d’Africa e il continente. L’Etiopia è il secondo paese più popoloso dell’Africa (115 milioni di abitanti), sede dell’Unione africana e snodo economico e commerciale di prima importanza per il Continente africano.

Eppure dallo scorso novembre 2021 la situazione è degenerata! I discorsi dell’odio a sfondo etnico hanno raggiunto livelli che ricordano il Ruanda prima del genocidio.

“Quando gli elefanti combattono è sempre l’erba a rimanere schiacciata”. Il significato di questo antico proverbio africano è chiaro: quando i potenti combattono per i loro interessi personali, a farne le spese sono sempre i più deboli, il popolo.